“C’è un solo modo per uccidere i mostri, accettarli”. La prima giornata del festival andata in scena ieri non ha deluso le aspettative. Tanta era l’attesa per il tema particolarmente affascinante e controverso di questa edizione, gli “amati mostri” che temiamo perché in quale modo ci somigliano. E nel caleidoscopio di tutte le tipologie del mostruoso il philoshow ha debuttato mostrando quelli della dimensione del fantasy: dai draghi agli alieni, intrecciando Medioevo mitico, proto fantasy come l’Orlando Furioso, ma anche Trono di Spade, Harry Potter, lo Hobbit fino agli alieni e ad Avatar. Mondi della fantasia, ma che, come ha spiegato la scrittrice e astrofisica Licia Troisi “hanno radici ben ambientate nel presente”.
La serata si è aperta con i saluti istituzionali del sindaco Matteo Ricci e dell’assessore alla Bellezza Daniele Vimini: “Popsophia e la sua organizzazione è ormai una garanzia e rappresenta per noi un modello di produzione culturale ed è ciò che vorremmo fare per Pesaro Capitale della cultura”. “Per noi è una grande soddisfazione portare avanti per l’undicesimo anno Popsophia, un festival su cui Pesaro ha investito. Questa è un’estate da Capitale per la città – ha aggiunto il sindaco – mai vista così affollata questa piazza”.
Il pomeriggio si era aperto con l’omaggio al regista Dino Risi e al suo film I Mostri, uscito nel 1963. Il sociologo Ivo Stefano Germano ha raccontato un Dino Risi capace di leggere, ormai 60 anni fa ciò che sarebbe diventata la società italiana “un paese atroce non perché abitato dai mostri, ma perché il mostro ci siede di fianco” – ha detto tracciando una classificazione dei vizi italici, dalla furbizia malandrina che arriva ad assurgere la disonestà come valore fino al conformismo.
“Da Dino Risi ai risi e bisi” ha commentato con una battuta Carlo Cambi, economista ed esperto di giornalismo enogastronomico che a palazzo Mazzolari Mosca ha parlato degli “orrori” del piatto, dalle teorie sulla filosofia del cibo, da Feuerbach “siamo ciò che mangiamo” fino a Brillat Saverin “la gastronomia è occuparsi dell’uomo in quanto egli si nutre” e arrivando a cercare di far capire perché, a suo avviso, la “carne coltivata” è il mostro del progresso alimentare.
La chiusura degli incontri pomeridiani è affidata al toccante racconto di Italo Calvino “La giornata d’uno scrutatore” con il critico Filippo La Porta che ha mostrato come il racconto sia una produzione anomala del Calvino razionalista che arriva a far dire al suo personaggio, fra i deformi del Cottolengo, che “l’umano arriva dove arriva l’amore non ha confini se non quelli che gli diamo”.