Uno, nessuno, centomila Clint Eastwood. Interprete di più di settanta pellicole, regista di più di quaranta film, è la leggenda della storia del cinema arrivata ieri, domenica 31 maggio, alla soglia dei novant’anni.
Cinesophia, il Festival della filosofia del Cinema, ha celebrato questo compleanno con dieci filosofi, che hanno commentato in uno show online dieci indimenticabili pellicole. Ne è venuta fuori un’unica poetica sugli eroi stanchi, tema utilizzato come filo conduttore.
“La carriera dal grande attore-regista è iniziata ufficialmente nel 1964 con il mitico primo piano degli occhi di ghiaccio del pistolero con poncho e toscanello di Sergio Leone – ha esordito Lucrezia Ercoli, direttrice artistica di Cinesophia -. Clint Eastwood ha rappresentato l’eroe solitario e individualista, disilluso e scontroso, lo spettro del cowboy che detesta le autorità ufficiali ma rimane fedele alla sua etica personale. Ma Clint Eastwood è anche molto altro. Innanzitutto, il cantore dell’America, raccontandone le tante sfumature dell’identità statunitense”.
Ad anticipare i ragionamenti, Donatella Ferretti, che ha raccontato “l’epopea di un eroe moderno che nel tempo ha visto sfilacciarsi il contenuto valoriare. I suoi eroi, oggi sono soli e delusi, si sono ritirati nel privato e l’eroismo, come lo intendiamo, non li riguarda più”. Ma partendo proprio dalle prime storie, Gianluca Briguglia ha rivisto la Trilogia del Dollaro, ponendo attenzione su una celebre battuta: “Quando l’uomo col fucile incontra l’uomo con la pistola, l’uomo con la pistola è un uomo morto”. “Come in Per un pugno di dollari, nella vita ci sono uomini e donne col fucile che vincono grazie alla loro posizione – ha ragionato
Briguglia -. Ma arriva sempre il momento del duello definitivo. Dove possiamo guardare in faccia questi uomini e donne col fucile e dire loro: vediamo se è vero”.
Altre scene memorabili sono state ricordate da Massimo Arcangeli, che ha evocato la leggendaria figura dell’Ispettore Callaghan. “Sono tante lebattute celebri del ciclo dei cinque film che compongono la serie dell’ispettore Callaghan – ha ricordato Arcangeli -. Come “Coraggio… fatti ammazzare”, con la battuta originale inglese che è attualmente al sesto posto tra le migliori cento della filmografia statunitense”.
L’Eastwood regista sa parlare di sentimenti. In Brivido nella notte è stato capace anche di analizzare l’amore da un punto di vista diverso. Quello ossessionato, che mira all’impossibile pur di far diventare reale un’immagine ideale. “Un po’ come per le sorellastre di Cenerentola – ha detto Ilaria Gaspari -, disposte a tagliarsi l’alluce per infilare la scarpetta. C’è una deformazione dello sguardo che con l’amore ha molto poco a che fare. Perché l’amore dovrebbe essere altro. Portandoci ad avere il coraggio di posare il proprio sguardo su qualcuno, e vederlo davvero”.
Umberto Croppi ci ha riportati invece nel western con di Gli spietati. Una pellicola “amara”, dove “nessun personaggio ha diritto al perdono, all’oblio, alla dimenticanza del dolore. Questa struttura è tipica della tragedia euripidea, con la maîtresse del bordello che fa da sfondo alla storia come una sorta di Medea vendicatrice, che mette in moto una spirale di violenza che porterà alla luce istinti sopiti”.
Ma tornando all’amore, questo sentimento può persino fare da cartina tornasole ad una vita irrealizzata. È quello che prova il personaggio di Clint Eastwood ne I ponti di Madison County per una stupenda Meryl Streep. Qui il protagonista, ha riflettuto Cesare Catà, “riesce a rendere il senso di tragicità proprio dell’amore attraverso qualcosa che non viene vissuto, quel senso di vita promessa ma non portata a termine che occuperà tante pagine della filosofia moderna fino dai tempi di Søren Kierkegaard”.
Clint Eastwood ha poi tessuto una tela tra due mondi apparentemente distanti, come la boxe e la filosofia. È stato Simone Ragazzoni a ricordarci come in Million Dollar Baby Eastwood torni “sulla scena originaria della filosofia occidentale, che non nasce come disciplina teorica, ma forma di allenamento in una palestra, alla periferia nord-ovest di Atene, ad opera di un lottatore filosofo, Platone”. Dove la filosofia diventa “sfida a se stessi e confronto con i propri fantasmi e limiti, apprestandosi anche al punto radicale. Imparare a morire”.
Se Milion Dollar Baby sottolinea il valore della vita, in Gran Torino c’è il senso del sacrificio. “Eastwood e il suo alter ego, Walt Kowaski, si confrontano con due grandi dicotomie eticoreligiose – ha ammesso Salvatore Patriarca -: la prima è tra intenzione e azione, e il teatro di questo confliggere è il sacramento della confessione. la seconda è tutt’interna all’azione vista come atto affermativo (fare bene) o sottrattivo (evitare il male). Il sacrificio è un agire mondano che permette all’altro (Thao) di essere libero. La più grande azione etica si legittima nella più individuale delle motivazione interiori”.
C’è molta etica persino in Invictus, titolo della poesia che Mandela (interpretato da uno straordinario Morgan Freeman) legge e rilegge durante gli interminabili anni di prigionia. E che ci presenta, usando le parole di Angela Azzaro, “un bivio: scegliere se conservare la democrazia o ritornare alla legge del taglione. In Invictus, Clint Eastwood ci ricorda il perdono, il cambiamento, la possibilità di amare il tuo nemico: sono ancora oggi fari che devono illuminare il nostro cammino”. Ma è in The Mule, ultima sua prova di attore, che Eastwood ci consegna una specie di suo testamento spirituale. Una pellicola dove “il protagonista deve espiare i suoi peccati attraverso il castigo, ha sottolineato Umberto Curi.
Nel crepuscolo della sua vita e della sua attività di cineasta, Clint Eastwood dichiara dunque di volersi avviare ad un sacrificio di espiazione che ha un evidente significato liberatorio e di purificazione”. C’è allora qualcosa di unico nel rapporto tra eroe e protagonisti alla Eastwood. “Clint Eastwood ci fa sentire vicini, nostro malgrado, a personaggi che riteniamo odiosi – l’apice di Riccardo Dal Ferro -, perché contraddittori rispetto al sistema di valori di cui vogliamo farci portavoce. Ci mette in difficoltà ricordandoci che tale sistema con cui interpretiamo il mondo è insufficiente, non assoluto e va sempre messo in discussione”.
“Gli eroi di Eastwood seguono la propria vocazione e il proprio desiderio le conclusioni affidate a Lucrezia Ercoli -. Non si rassegnano e scendono in campo, anche se il mondo finirà per travolgerli, anche se subiranno lo scacco del destino, anche se saranno sconfitti. Sono eroi della “tenacia”: letteralmente, “tengono fermo” il timone nella tempesta pur nella consapevolezza che, alla fine, saranno travolti dalle onde. Anche noi, in questo momento, siamo chiamati ad essere “eroi della tenacia”. Non abbiamo bussole per orientarci nel futuro che ci attende, ma, tenaci, vogliamo costruire scenari per il mondo della cultura di domani”. Il dibattito è stato intermezzato da musiche eseguite da Gianluca Pierini, con la regia e video di Riccardo Minnucci.