“Sbattersene di piacere”
L’ultimo insegnamento di Michela Murgia a Pesaro

Aveva tenuto una lezione sulle donne capaci di rompere il muro del patriarcato, di eccellere al di fuori degli schemi imposti da una società pensata e creata dagli uomini. Una conferenza – testamento di tutto il pensiero di Michela Murgia che Popsophia aveva invitato per aprire il festival, il primo in presenza in Italia dopo il Covid e il lockdown, con il pubblico distanziato e con i sistemi di controllo. Il tema del festival “Realismo visionario” era stata declinato da Murgia raccontando le sue Morgane in una serata spettacolo, con la band Factory che l’aveva introdotta con la canzone di Loredana Berté “Non sono una signora”.

Alcune potrebbero essere offese, non io che mi riconosco appieno. Non sono una signora, è vero. Quando ti dicono comportati da signora vuol dire ti rispetterò se rimani all’interno del perimetro che abbiamo pensato per te“.

“In quel 2020 così difficile e che aveva minato le nostre certezze ci eravamo affidati alla lucida capacità di Michela Murgia di vedere oltre il presente per darci nuovi spiragli di libertà – ha ricordato la direttrice artistica Lucrezia Ercoli – e offrirci una chiave di lettura sul nostro tempo e sul nostro futuro, al di là della contingenza del momento, guardando avanti. Mai avremmo immaginato in quel momento di doverla salutare così presto. Mancherà la sua capacità di rendere politico il privato. Resterà alle nuove generazioni il suo insegnamento, così prezioso e imprescindibile per essere donna oggi”.

Quella del 2020 è stata l’ultima presenza a Pesaro della scrittrice sarda morta ieri a 51 anni dopo la scoperta di un tumore al quarto stadio. E anche nella malattia la Murgia ha saputo offrire la grandezza e acutezza del suo pensiero, la capacità di guardare oltre le categorie che conosciamo, raccontando con naturalezza e tranquillità di come affrontasse questo momento. Uscendo ancora una volta da una narrazione main stream del “nemico da combattere” e offrendo una chiave di lettura inedita per vivere il cancro come un’esperienza che potesse essere politica per affrontare i temi che per tutta la vita le sono stati cari, dalle famiglie queer all’eutanasia.