Sergio Leone, un pistolero contro il provincialismo culturale

“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto”. E’ la frase iconica di “Per un pugno di dollari”, il caposaldo del western all’italiana che ha consacrato il grande Sergio Leone. Sabato 6 luglio Popsophia ha voluto tributare un sentito incontro al leggendario regista, nell’ultima giornata di “E’ già ieri”, edizione pesarese 2019.

E’ stato Andrea Minuz a onorare la sua figura, a novant’anni dalla nascita e a trenta dalla morte. Ovviamente, declinando tutto al ragionare del festival del contemporaneo. “Se l’eterno ritorno ha a che fare con il rapporto tra originale e copia – ha esordito Minuz -, Sergio Leone ha parecchio da dirci. Ha la forza dei classici, cioè ha qualcosa che conosciamo anche senza aver visto un suo film”. E’ stato però “un artista a lungo isolato all’interno della cultura italiana”, stroncato “perché colpevole di fare cinema di genere, distante dalle mode ed imperativi culturali dominanti”. Che vedevano primeggiare cinema d’autore e impegnato. Ma in certe affermazioni c’è tutto “il provincialismo della nostra cultura, che non ha capito la filmografia di genere”. Sergio Leone ha invece dimostrato in modo impeccabile “come la forza dell’imitazione può a volte superare il mito dell’originalità. Ci piace credere all’artista che plasma dal nulla, ma Sergio Leone confuta questa credenza. Trasformando l’imitazione in momento creativo forte”.

Prima di Minuz, Cesare Catà ha fatto un suo viaggio partendo sempre dal grande schermo, con il successo hollywoodiano “A Star Is Born”, remake di remake. “C’è un esauribile pozzo mitologico – ha introdotto Catà -, dove peschiamo archetipi che sempre esisteranno. “A Star Is Born” riverbera l’archetipo dell’amore tragico, che per manifestarsi necessita dello sfasamento del tempo. Come in Romeo e Giulietta, dove Shakespeare orchestra fraintendimenti temporali. Se Romeo fosse arrivato un attimo dopo e Giulietta si fosse destata un attimo prima alla fine i due si sarebbero sposati”.

La sera Piazza del Popolo è stata di nuovo sold out, per la seconda volta nel corso della rassegna, per assistere al Philoshow sui cinquant’anni da Woodstock. “Un evento epocale mitico – ha detto la direttrice artistica Lucrezia Ercoli -. Anzi, un cliché evocando le immagini che uno ha in mente. Ma è stato in realtà un lungo appuntamento e va rivisto senza nessuna nostalgia”.

Salvatore Patriarca, che ha introdotto lo show della Factory, band di Popsophia, ha voluto ri-bilanciare la figura dell’eterno ragazzo, famoso prototipo di Peter Pan. Esatto opposto alla maturità? Tutto sommato però “non bisogna mai rinunciare alla necessità di essere leggeri – le riflessioni di Patriarca -. Alla fine questa sindrome ha in sé un giocare della natura per restare nell’inconsapevolezza della morte. Un grande concetto legato al concerto di Woodstock”.

“Questo concerto – ha continuato Alessandro Alfieri – è stato ridotto a festival del fricchettoni. In realtà è stato qualcosa di più complesso e decisivo”. Nonostante tutte le sue contraddizioni, “è stata un’occasione spontanea di aggregazione sociale – ha concluso Alfieri -. Chiaro, non ha portato da nessuna parte. Ma questi brani possono orientarci nel presente. Se rivoluzione ci sarà, infatti, dovrà passare per il passato e la sua musica”.

A chiudere la giornata, il percorso negli anni Ottanta di Tommaso Ariemma, dai classici cult Goonies ed Et al recente Stranger Things.