“L’incantesimo” di Popsophia La sigla si trasforma: dalla spirale alla Mano del Filosofo

La spirale di Popsophia ribolle con la magia. La sigla dell’edizione 2025, ideata e realizzata dall’artista digitale Massimo Macellari sintetizza con l’immagine le chiavi di lettura del tema scelto, “Abracadabra”.

Sarà infatti un’edizione “magica” e per l’occasione anche la sigla che anticipa ogni incontro del festival si è adeguata offrendo gli elementi suggestivi che comporranno la narrazione di incontri e philoshow. La spirale di Popsophia, da sempre logo identificativo del festival è qui in versione “magmatica”, pronta ad essere trasformata e diventare altro. Come nell’alchimia. Ed è infatti da questo “brodo primordiale” che emerge “La mano del filosofo”, un’antica raffigurazione seicentesca attribuita all’alchimista Johannes Isaac Hollandus e che racchiude i simboli dell’Arte Alchemica, intrecciando filosofia e magia. Come sosteneva Kant, «Le mani sono la finestra della mente», strumenti attraverso cui scopriamo dimensioni inesplorate. Nell’iconografia di Hollandus, ogni dito è associato ai cinque elementi alchemici (terra, acqua, aria, fuoco ed etere), ai pianeti e ai metalli ad essi collegati, simboleggiando l’incontro tra scienza e spiritualità, pensiero e anima.

È proprio su questa sottile linea di confine – tra vero e credibile, razionalità e superstizione, luce e oscurità – che la filosofia si interroga da sempre. Un confine che Popsophia attraverserà con incontri e philoshow per svelare la magia nascosta nel nostro quotidiano.

Il video suggerisce le tematiche che Popsophia 2025 esplorerà: il legame tra filosofia, magia e immaginario pop, mostrando come la cultura contemporanea sia ancora intrisa di simboli antichi. Il sapere, proprio come la magia, è un atto di creazione e trasformazione, invitando lo spettatore a rimanere “ammaliato” scoprendo una realtà con occhi nuovi.

Il titolo dell’edizione “Abracadabra” è infatti molto più di una formula magica: è una parola “apotropaica”, il solo pronunciarla ha il “potere” di allontanare le influenze del maligno. O di attrarle. “Le parole capaci di incantare producono piacere e allontanano il dolore”. La parola ha un potere pericoloso per Gorgia, i sofisti lo sanno, è capace di produrre “incantamento” quello che per Marsilio Ficino scaturiva dagli occhi, per gli antichi passa attraverso l’udito, tramite la parola. Come nelle litanie che permangono nelle formule della religione.

Abracadabra non vuol dire niente e vuol dire tutto: per i romani era un’antica cura contro la malaria, era uso scriverla in un triangolo rovesciato, eliminando di volta in volta una lettera, fino allo scomparire della malattia. Lo scomparire della parola è lo scomparire della forza del maleficio e il ritorno al bene, alla luce.

In Harry Potter, l’incantesimo è una delle tre maledizioni “senza perdono”, quella che dà l’avvio narrativo di tutta la saga. Harry è l’unico sopravvissuto all’ Avada Kedavra, l’anatema che uccide e che fa scomparire la persona che si ha di fronte. È con un Avada Kedavra che uccide il Mago Albus Silente, un’arte oscura che è tra le più potenti formule di tutta la storia narrata da J.K.Rowling. È la parola che segna il discrimine tra l’essere e il non essere. E cosa c’è di più filosofico della domanda sull’esistenza?

Popsophia esplorerà il legame profondo tra razionalità e superstizione nell’epoca contemporanea, un’era iper-tecnologica, dove lo specchio magico della regina di Biancaneve è il nostro smartphone, Narciso liquido, in cui contempliamo il nostro riflesso nei selfie e nei video, nei like e nei cuoricini, eco dei nostri desideri, domande e insicurezze attraverso algoritmi, notifiche e intelligenza artificiale.